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Fra palme e propaganda

Le autostrade cubane hanno un fascino tutto loro. Poche automobili e molte buche. E spazio abbastanza per le nostre due sparachiodi e la Panhead di Ernesto. Lungo la striscia d’emergenza invece, curiosi, venditori, un gruppo di gitanti che presumibilmente aspettano l’autobus di linea che tre miglia prima abbiamo oltrepassato perché stava cambiando una gomma.

Presto ci tenta un locale al bordo di un campo coltivato a tabacco. Ci sediamo e ordiniamo degli hamburguesas. Chiediamo del “ketsup”. L’oste ride. Non perché non ne abbia, solo non così tanto, per tutta quella gente. La razione settimanale non è sufficiente. “Ketsup” è lusso. Comunque ce lo dà lo stesso. E noi cerchiamo di essere parchi.

Poi si continua, la meta si chiama Viñales, regione votata al tabacco. Un paesaggio da film kitsch. Insieme al cielo temporalesco bucato da accecanti fasci di luce solare, il tutto sembra così esagerato. E ogni miglio che passa ci sono ElLider e il suo compagno Che a declamare parole d’ordine rivoluzionarie da manifesti giganti e pareti di case.

La serata, immersa nella pioggia, la passiamo nel cortile coperto della nostra sistemazione privata. Dopo il quarto o quinto bicchiere di rum e dopo la terza volta che va via la corrente, il più anziano della famiglia comincia a cantare storie di motocicli e di stranieri, stranieri che fumano sigari e bevono rum quando non c’è la corrente in un cortile di Viñales.